L’olio di oliva in cucina e la sua resistenza alle alterazioni
A temperatura elevata, e in presenza dell’ossigeno atmosferico, i fenomeni di ossidazione, che i grassi subiscono anche a temperatura ambiente, accelerano notevolmente il loro corso. L’intensità del processo ossidativo è proporzionale al grado di insaturazione del grasso (al suo contenuto in acidi grassi mono e polinsaturi), mentre la sua azione viene contrastata dalla presenza di sostanze antiossidanti; soltanto l’olio d’oliva reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte temperature.
L’entità delle alterazioni che i grassi subiscono quando sono sottoposti a cottura dipende da altri due fattori decisivi:
- Il livello della temperatura
- La durata del tempo di cottura
Più elevata è la temperatura, più facilmente si assiste ad alterazioni dei grassi, che nei casi estremi, possono essere responsabili di effetti tossici.
Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di tolleranza delle alte temperature, definito punto di fumo: oltre a tale livello termico, il glicerolo, che con gli acidi grassi forma i trigliceridi, si decompone, formando l’acroleina, sostanza estremamente dannosa per il fegato. Tale livello non deve essere mai superato; è bene ricordare che l’olio d’oliva ha uno dei punti di fumo più elevati fra tutti gli oli, tollerando temperature prossime ai 180C°. Ancora più determinante del livello termico risulta però essere la durata del tempo di cottura: se dopo 20 minuti di esposizione a temperature non troppo elevate si verificano nei grassi le prime alterazioni, è solo dopo lunghi periodi di riscaldamento che si producono veri e propri effetti tossici, con la formazione di prodotti di degradazione quali monomeri ciclici e perossidi; anche in questo caso l’olio d’oliva ha un indice di degradazione sensibilmente più basso rispetto agli altri oli vegetali. La maggior resistenza dell’olio di oliva si dimostra anche alle alte temperature raggiunte durante la cottura, ed ancor più durante la frittura.
Infatti la formazione di sostanze tossiche (polimeri, perossidi e quindi aldeidi, chetoni, idroperossidi) è favorita dalla presenza dei doppi legami dei polinsaturi. Questo non significa eliminare gli acidi grassi con più punti di insaturazione, essenziali per esempio al mantenimento di un’ottimale fluidità e permeabilità di membrana, ma piuttosto ridimensionarne la quota introdotta. I livelli consigliati d’assunzione di acidi grassi polinsaturi per un’equilibrata alimentazione sono attorno al 3% delle calorie totali, con un aumento al 4.5% nella gestante e 5-7% nella nutrice.
L’olio di oliva, rispetto agli eccessi contenuti negli oli di semi, rispetta bene questo fabbisogno. Sembra inoltre che l’acido oleico, contenuto in alte quantità soltanto nell’olio di oliva influisca, entro certi rapporti, sulla trasformazione di acido linoleico in acido arachidonico, il più attivo fisiologicamente. Accanto alla componente grassa acidica troviamo nell’olio di oliva importanti sostanze quali il tocoferolo (vitamina E), polifenoli e squalene, questi due ultimi principali responsabili del suo elevato potere antiossidante essendo il tocoferolo presente in basse quantità, al contrario che negli oli di semi. È stato peraltro visto che un eccesso di vitamina E potrebbe facilitare la crescita tumorale.
Articolo tratto da Analisi sensoriali “come riconoscere le qualità degli oli extravergine di oliva”
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